22.04.2010 10:40
L’art. 1027 c.c. recita:
“
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”.
L’esempio classico è quella della servitù di passaggio. Il proprietario del fondo Alfa che non ha accesso diretto alla pubblica via ha il diritto di chiedere ed ottenere, al proprietario del fondo confinante Beta, il passaggio per raggiungere la strada pubblica.
Elementi fondanti della servitù sono l’appartenenza del fondo a due proprietari diversi (il c.d. principio nemini res sua servit e la connessione dell’utilità con il fondo).
Ai sensi degli art. 1032, 1058 e 1062 c.c., infine, le servitù possono essere costituite per contratto, per sentenza, per contratto, per testamento e per destinazione del padre di famiglia.
Con riferimento al principio nemini res sua servit si è detto che esso è applicabile “
soltanto nel caso in cui un unico soggetto è titolare del fondo servente e di quello dominante e non pure quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell'altro, perché in tale seconda ipotesi l'intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune. E a questa conclusione si deve pervenire anche nell'ambito condominiale, essendo configurabile in uno stesso edificio la proprietà comune come entità distinta da quella individuale sotto il profilo sia materiale, essendo identificabili le cose condominiali, sia della titolarità del diritto, dato che, mentre colui che ha la proprietà esclusiva di singole cose è un soggetto individuale, titolare delle cose dl proprietà comune è un soggetto plurimo e diverso. E, come chiaramente si precisò nella sentenza n. 2003 del 1966, "se e vero che il condominio edilizio non e persona giuridica, ma è ente di mera gestione, è pur vero che trattasi di ente il quale mutua dalla persona giuridica alcuni strumenti (assemblea amministratori) ed agisce come proprietario delle cose comuni sia nei rapporti esterni sia in quelli interni del gruppo, così atteggiandosi come soggetto diverso da quello individuale” (Cass. 17 luglio 1998, n. 6994).
In sostanza è ben possibile che nell’ambito di un condominio il singolo comproprietario possa vantare una servitù nei confronti delle parti comuni dello stabile.
Quanto all’utilità è stato affermato che nella determinazione di tale concetto “
non si deve far capo ad elementi soggettivi ed estrinseci relativi all'attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, ma bisogna avere riguardo unicamente al fondamento obbiettivo e reale dell'ultima stessa, sia dal lato attivo che da quello passivo: essa deve costituire, cioè, un vantaggio diretto del fondo dominante, come mezzo per la migliore utilizzazione di questo” (Cass. 22 ottobre 1997 n. 10370).
In quest’ottica e ricollegandosi al concetto di servitù in condominio, di recente la Corte di Cassazione ha affermato che “
il parcheggio dell'auto non rientra nello schema di alcun diritto di servitù, difettando la caratteristica tipica di detto diritto, ovverosia la "realità" (inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso), in quanto la comodità di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedono al fondo non può valutarsi come una utilità inerente al fondo stesso, trattandosi di un vantaggio del tutto personale dei proprietari" (Cass. n. 1551 del 2009)” (così Cass. 23 settembre 2009 n. 20409).
Appurato che è configurabile
una servitù delle parti comuni rispetto alle proprietà esclusive, bisogna chiedersi quando si possa parlare di una servitù vera e propria e quando, invece, non si debba parlare, più propriamente, di uso della cosa comune ex art. 1102 c.c.
La giurisprudenza, in relazione a ciò, ha avuto modo di affermare che “
per la ricorrenza della servitù a carico di un fondo di proprietà comune ed a vantaggio di altro fondo di proprietà comune ed a vantaggio di altro fondo di proprietà esclusiva di uno dei partecipanti alla comunione, è necessario che l'utilità tratta da nuove opere sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune fruita da tutti i comproprietari, con la conseguenza che nel caso in cui l'utilità stessa derivi unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione della cosa comune, la misura dell'uso e del godimento di ciascun partecipante alla comunione è in funzione del concorrente uso del godimento degli altri comproprietari ed è quindi regolata dal titolo nei limiti previsti dalla norma sulla comunione di cui all'articolo 1102 c.c. (ved., tra altre, sentenza 28.1.1985 n. 434 di questa corte)”(così Cass. 23 marzo 1993 n. 3419).
Avv. Alessandro Gallucci