Amministrazioni Condominiali e Immobiliari
C’è un regola in materia di condominio che, sia pur non codificata con le seguenti parole, afferma: in materia di condominio negli edifici le spese condominiali debbono essere suddivise tra tutti i condomini sulla base dei criteri legali e solamente se v’è un accordo tra tutti loro, in ragione di diversi criteri dai medesimi chiaramente identificati.
Se la legge viene derogata con un voto dell’assemblea senza che ad esso partecipino favorevolmente tutti i condomini, quella deliberazione dev’essere considerata invalida.
Più nello specifico, parola di Cassazione, quella decisione “deve ritenersi affetta da nullità (che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole), e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall'art. 1137 c.c., la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali ex art. 1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell'interesse comune.
Ciò, in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca. In tal senso è il costante orientamento di legittimità, che il Collegio pienamente condivide e dal quale non ravvisa, comunque, ragione alcuna per discostarsi (ex plurimis, Cass. 17101 del 27/07/2006)" (Cass. 14 giugno 2013, n. 15042).
In questo contesto, quindi, "ai sensi dell'art. 1421 cc. le azioni di nullità relative alle delibere condominiali possono essere proposte da chiunque vi abbia interesse e anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla purché alleghi e dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio non operando nel diritto sostanziale la regola propria della matteria processuale secondo cui chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere (Cass. n. 9562 del 1997)” (Cass. ult. cit.).
Insomma anche il condomino inizialmente favorevole può ricredersi ed impugnare quella decisione purché dimostri di avervi interesse.
Nel caso sottoposto alla loro attenzione, dicono gli ermellini, il condomino “aveva dato prova di essere proprietario di immobili adibiti ad uso ufficio e che dalla maggiorazione delle spese condominiali deliberate avrebbe subito un serio pregiudizio sia perché i maggiori costi avrebbe potuto disincentivare le relative locazioni sia perché come proprietario aveva l'obbligo del pagamento in caso di morosità del conduttore" (Cass. 14 giugno 2013, n. 15042). In poche parole: di avervi interesse.
Questa la cronaca d’un fatto che ha portato a ribadire un principio noto.
La vicenda, però, fa sorgere spontanea la domanda: come coordinare quanto fin’ora detto con la così detta approvazione per facta concludentia?
Ricordiamo che sul finire di maggio la Suprema Corte ha affermato che “la partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio per ripartire le spese secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza rappresentata dalla concreta disapplicazione delle stesse tabelle per più anni può assumere il valore di univoco comportamento rivelatore della volontà di parziale modifica dei criteri di ripartizione da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e può dare luogo, quindi, ad una convenzione modificatrice della relativa disciplina, che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco dell'assemblea dei condomini (cfr.: Cass. civ., sez. 2, sent. 10/02/2009, n. 3245)” (Cass. 24 maggio 2013, n. 13004).
Insomma, una cosa è approvare una delibera da considerarsi nulla e poi subito dopo rendersi conto dell’errore e contestarla. Altro non approvarla ma comunque osservarla come si trattasse di una normale decisione. Il discrimine, alle volte labile, tra nullità ed approvazione per facta concludentia viene deciso dal giudico chiamato a risolvere la controversia.
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