Amministrazioni Condominiali e Immobiliari
(23/02/2012)Cassazione, sez. II Civile, sentenza n. 2363 del 17/02/2012
In materia di appalto, l'appaltatore esplica l'attività che conduce al compimento dell'opus perfectum in piena autonomia, con propria organizzazione ed a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato. Ciò, in linea di principio, non solo esclude la configurabilità di un rapporto insti torio tra committente ed appaltatore, ma implica anche che solo l'appaltatore debba, di regola, ritenersi responsabile dei danni derivati e terzi nella (o dalla) esecuzione dell'opera (tra le tante, Cass., Sez. III, 16 maggio 2006, n. 11371).
Questo principio connesso alla struttura del contratto di appalto soffre, tuttavia, eccezioni sia quando si ravvisino a carico del committente specifiche violazioni del principio del neminem laedere riconducibili all'art. 2043 cod. civ. (e tale potrebbe essere il tralasciare del tutto ogni sorveglianza nella fase esecutiva nell'esercizio del potere di cui all'art. 1662 cod. civ.), sia quando l'evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata l'opera affidata ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative per eseguirla correttamente, sia quando l'appaltatore, in base ai patti contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice esecutore di ordini del committente e privato della sua autonomia a tal punto da aver agito come nudus minister di questo, sia, infine, quando il committente si sia, di fatto, ingerito con singole e specifiche direttive nelle modalità di esecuzione del contratto o abbia concordato con l'appaltatore singole fasi o modalità esecutive dell'appalto.
In tutti questi casi il committente potrà essere tenuto come responsabile, in via diretta, con l'appaltatore per i danni cagionati al terzo (Cass., Sez. II, 12 maggio 2003, n. 7273; Cass., Sez. III, 20 aprile 2004, n. 7499; Cass., Sez. III, 21 giugno 2004, n. 11478; Cass., Sez. III, 1 giugno 2006, n. 13131, cit.; Cass., Sez. III, 30 settembre 2008, n. 24320).
Ora, la Corte d'appello ha attribuito la corresponsabilità dell'accaduto, sia pure nella misura del 25%, al Condominio committente, in un caso nel quale essa non era configurabile.
L'avere contrattualmente previsto l'esecuzione nell'opera nel periodo autunnale ("notoriamente piovoso") non è di per sé ragione sufficiente per muovere un addebito di colpa al committente, ove si consideri che l'adozione, da parte dell'appaltatore incaricato del rifacimento di un terrazzo condominiale, delle normali misure precauzionali, come la collocazione degli opportuni manti impermeabili, vale a prevenire gli effetti della pioggia, normalmente più copiosa in quel periodo, e quindi a neutralizzare la scelta del periodo di esecuzione del contratto, tra l'altro imposta dalla necessità di ovviare al più presto alle infiltrazioni lamentate dagli occupanti il sottostante appartamento.
Un addebito di corresponsabilità avrebbe potuto essere mosso al Condominio solo previo accertamento della ricorrenza in concreto di uno dei casi, sopra enunciati, in cui la giurisprudenza ritiene che anche il committente possa essere ritenuto responsabile, in via diretta, con l'appaltatore per i danni cagionati al terzo, e quindi ove la Corte d'appello avesse individuato, al riguardo, una riferibilità anche ad esso della insufficiente predisposizione, da parte dell'appaltatore, delle necessarie cautele.
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